Cessione del credito e giudicato endoconcorsuale

Cassazione Civile, 2 ottobre 2023, ordinanza n°27700/2023

Con l’ordinanza in oggetto, la Suprema Corte ha pronunciato il seguente principio di diritto: “ In tema di cessione del credito, la controversia tra debitore (ceduto), Curatela del fallimento del creditore (cedente) e terzo (cessionario), in cui (i) il debitore chieda una pronuncia diretta a stabilire quale sia  tra il cessionario e il cedente fallito il legittimo titolare del credito; (ii) il cessionario chieda la condanna del debitore ceduto a pagare quanto dovuto per effetto della cessione; (iii) e la Curatela chieda l’accertamento della non opponibilità della cessione alla massa dei creditori del cedente, non rientra tra le controversie da trattare, ai sensi dell’art. 52, comma 1, L.Fall.

Non è dunque applicabile lo speciale rito previsto per l’accertamento del passivo fallimentare, ai sensi dell’art. 93 e ss. L.Fall., in quanto l’azione non è diretta ad incidere sullo stato passivo fallimentare, ma è diretta legittimamente ad incidere sull’attivo fallimentare, attraverso l’accertamento dell’esistenza o meno, del credito nel patrimonio del cedente alla data del suo fallimento”.

Nel caso in esame, dopo la conclusione di contratti di appalto, la società appaltatrice (cedente) veniva dichiarata fallita a seguito dell’intervenuta cessione, in bonis, di crediti derivanti dai contratti di appalto a diversi istituti di credito (cessionari).

A seguito della dichiarazione del fallimento e a fronte della richiesta di pagamento congiunta da parte delle banche e del Curatore fallimentare (cedente), la Società appaltante formulava domanda di accertamento al fine di accertare il titolare effettivo del credito.

In primo e secondo grado – dichiarata tardiva la domanda di revoca delle cessioni del credito avanzata dal Curatore – veniva accertata la regolarità delle cessioni e veniva ordinato alla Società appaltante di procedere al pagamento nei confronti delle banche cessionarie.

In particolare, i giudici di merito sostenevano che la cessione del credito si fosse perfezionata un anno prima della dichiarazione di fallimento e pertanto l’azione revocatoria era da ritenersi inammissibile, in quanto tardiva.

Il Curatore proponeva ricorso in Cassazione, ritenendo le cessioni inopponibili al fallimento, in quanto effettuate prima dell’apertura della procedura, sostenendo che il cedente non avrebbe dovuto considerarsi liberato sino al pagamento del debitore ceduto e, pertanto le banche avrebbero dovuto insinuarsi al passivo, in quanto le cessioni non svolgerebbero funzione solutoria, ma di garanzia.

La Suprema Corte evidenzia come il giudizio non avesse ad oggetto questioni relative all’accertamento del credito in sede di ammissione al passivo, ma esclusivamente la valutazione dell’efficacia delle cessioni di credito effettuate dalla società ancora in bonis e, quindi, l’accertamento della titolarità dei crediti ceduti dall’appaltatore alle banche.

Pertanto, con ordinanza n. 27700 del 2 ottobre 2023, la Corte di Cassazione, Sezione I, è intervenuta affermando che la controversia di cui supra non rientra nel rito speciale previsto dalla legge fallimentare per l’accertamento del passivo “in quanto non diretta ad incidere sullo stato passivo fallimentare (in assenza di domande di accertamento di crediti nei confronti della massa) ma diretta legittimamente ad incidere sull’attivo fallimentare, attraverso l’accertamento dell’esistenza, o meno, del credito nel patrimonio del cedente alla data del suo fallimento”.

Ed infatti, il giudicato endofallimentare ha effetti limitati al concorso e non è volto a fare stato fra le parti fuori del fallimento, non estendendosi a crediti fatti valere nei confronti di terzi, così come statuito ai sensi dell’art. 120, comma 4, L.Fall., secondo cui “il decreto o la sentenza con cui il credito è ammesso al passivo costituisce solo prova scritta per ottenere un decreto ingiuntivo contro il debitore tornato in bonis, con la conseguenza che l’ingiunto ben può rimettere in discussione l’esistenza o meno del credito nel patrimonio del cedente alla data del suo fallimento”.

Infine, la pronuncia precisa che nel giudizio promosso dal Curatore per il recupero di un credito del fallito, il convenuto può eccepire in compensazione, in via riconvenzionale, l’esistenza di un proprio controcredito, atteso che tale eccezione è diretta esclusivamente a neutralizzare la domanda, mentre il rito speciale per l’accertamento del passivo trova applicazione solo nel caso di domanda riconvenzionale.

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