Cassazione Civile, Sez. I, 5 giugno 2025, sentenza n°15087
Con sentenza n. 15087 del 5 giugno 2025 (Pres. Di Marzio, Rel. Falabella), la Prima Sezione della Corte di Cassazione si è pronunciata in merito alla legittimazione del socio che abbia esercitato il diritto di recesso ad impugnare la successiva delibera di revoca della modifica statutaria che aveva costituito il presupposto per l’exit.
Nel caso esaminato, un socio di una società per azioni aveva esercitato il diritto di recesso in seguito all’approvazione da parte dell’assemblea di modifiche statutarie attinenti all’attribuzione ad arbitri delle controversie societarie e alla partecipazione dei soci alla vita sociale.
A distanza di alcuni mesi, l’assemblea procedeva alla revoca delle modifiche statutarie precedentemente adottate. Tale delibera veniva impugnata dal socio che aveva esercitato il recesso.
La Suprema Corte afferma che, nel giudizio di legittimità, la perdita della qualità di socio a seguito di cessione delle azioni successiva alla proposizione del ricorso per cassazione non comporta l’inapplicabilità dell’art. 2378, co. 2, c.c.
In tema di società per azioni, l’art. 2437-bis, co. 3, c.c. qualifica il recesso come un atto unilaterale recettizio, che produce effetti al momento della sua comunicazione alla società, sebbene condizionato risolutivamente all’eventuale revoca della delibera legittimante o allo scioglimento della società, da esercitarsi entro 90 giorni.
In presenza di una delibera di revoca o di scioglimento, il socio riacquista ex tunc la propria qualità, con pieno recupero della legittimazione ad impugnare ex artt. 2377 e 2378 c.c., sia la revoca che eventuali delibere successive.
Secondo la Corte d’Appello, la legittimazione ad impugnare la revoca della delibera legittimante il recesso non spetterebbe al socio receduto, in quanto avrebbe perso lo status di socio e non potrebbe contestare l’avveramento della condizione risolutiva.
La Corte di Cassazione, tuttavia, accoglie il ricorso, ribadendo l’orientamento consolidato secondo cui il recesso produce effetti immediati, in quanto atto unilaterale recettizio. In tal senso si richiama anche la recente Cass. n. 10325/2024.
La disposizione dell’art. 2437-bis, co. 3, c.c., stabilisce chiaramente che il recesso è inefficace qualora, entro 90 giorni, sia revocata la delibera che lo legittima o sia deliberato lo scioglimento.
Dunque, la dichiarazione di recesso, una volta ricevuta dalla società, comporta lo scioglimento del rapporto sociale con effetti immediati.
La norma, al secondo comma, impone l’obbligo di deposito e il divieto di alienazione delle azioni oggetto di recesso, determinando, secondo la giurisprudenza di merito, un vero e proprio “congelamento” dei diritti del socio receduto, fatta eccezione per quello alla liquidazione.
La comunicazione del recesso produce, quindi, una sorta di spoliazione della titolarità sostanziale delle azioni: pur restando formalmente intestate al recedente, quest’ultimo non può esercitare diritti corporativi o patrimoniali, né può disporre delle azioni stesse, essendo demandata agli amministratori la loro collocazione presso altri soci o terzi.
Un ulteriore argomento a supporto di tale ricostruzione si trae dall’art. 2437-ter c.c., che assume come momento di riferimento per la determinazione del valore di liquidazione quello anteriore alla dichiarazione di recesso, sia per le azioni quotate sia per le partecipazioni in s.r.l.
Ne deriva che la tesi secondo cui il recesso integrerebbe una fattispecie a formazione progressiva, con effetti solo al momento del pagamento, non trova fondamento nel dettato normativo né nei principi generali del diritto dei contratti.
Il socio che recede perde integralmente i propri diritti, siano essi patrimoniali o amministrativi, con l’unica eccezione del diritto alla liquidazione. Tali diritti possono tuttavia essere riacquistati ex tunc, ove si verifichi una delle condizioni risolutive previste dalla legge.
L’impossibilità per il socio receduto di impugnare la delibera che ha legittimato il recesso deriva dalla sua libera scelta di esercitare un diritto previsto dall’ordinamento, e non da un effetto automatico della deliberazione.
La Corte sottolinea che questa impostazione non lede il diritto di difesa del socio uscente, poiché la revoca della delibera legittimante determina la ricostituzione dello status di socio, con la conseguente legittimazione a impugnare, ad esempio, delibere viziate adottate nel periodo intermedio.
Ne consegue che il socio reintegrato può:
- impugnare la delibera di revoca che ha determinato la sua reintegrazione, ai sensi degli artt. 2377 e 2378 c.c.;
- esercitare il diritto di opzione in relazione ad aumenti di capitale deliberati nel periodo in cui era formalmente receduto, con decorrenza dei termini dal momento del riacquisto dello status socii.
La legittimazione del socio receduto ad impugnare la delibera di revoca della determinazione statutaria legittimante il recesso deve essere riconosciuta.
Essa, tuttavia, non comporta il diritto di partecipare alla formazione della delibera stessa, in quanto, fino alla revoca, il soggetto è privo dello status di socio.
È invece corretto ritenere che, a seguito della revoca, lo stesso recuperi integralmente la legittimazione all’impugnazione, poiché la società, esercitando lo “ius poenitendi”, ha determinato la restituzione ex tunc della qualità di socio.
