Cass. Civ., Sez. I, 13.3.2023, ordinanza n°7272
La Sez. I Civile della Suprema Corte di Cassazione, con ordinanza n°7272/ 2023, è tornata a ribadire un principio da tempo enunciato dalla stessa (Cass. Civ., Sez. VI, 12 giugno 2019, n. 15822).
In particolare viene affermato che, a fronte dell’inadempimento contrattuale di una società di capitali, la responsabilità risarcitoria degli amministratori nei confronti dell’altro contraente non deriva automaticamente da tale loro qualità, ma richiede, ai sensi dell’art. 2395 c.c., la prova di una condotta dolosa o colposa degli amministratori medesimi, del danno e del nesso causale sussistente tale contegno e il danno patito in concreto dal contraente.
La questione deriva da un’azione avviata da un ex lavoratore di una società a responsabilità limitata, poi liquidata, nei confronti dell’amministratore al fine di farne accertare la responsabilità personale in relazione ad alcuni gravi inadempimenti della società concernenti il rapporto di lavoro ed individuati nella mancata regolarizzazione del rapporto di lavoro in questione, nel mancato adeguamento previdenziale e, infine, nell’illegittimo licenziamento.
Il ricorrente aveva dunque svolto azione di responsabilità nei confronti dell’amministratore della società per la quale lavorava ai sensi dell’articolo 2476, 6° e 7° comma, c.c., in forza del quale gli amministratori rispondono verso i creditori sociali per l’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale nonché per i danni direttamente causati al terzo a seguito di atti dolosi o colposi.
Secondo quanto sostenuto dal Tribunale (prima) e dalla Corte di Appello (poi,) l’inosservanza da parte dell’amministratore dei doveri relativi alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale, la mancata regolarizzazione del rapporto di lavoro, il mancato adeguamento previdenziale e il licenziamento illegittimo, anche se provate, sarebbero state, comunque, condotte riferibili unicamente alla società datrice di lavoro e non all’amministratore in proprio. La Suprema Corte – con il rigetto del ricorso, confermato quanto statuito nelle pronunce dei gradi di giudizio precedenti – ha escluso che detti inadempimenti e la pessima amministrazione del patrimonio sociale siano di per sé sufficienti a dare ingresso all’azione di responsabilità nei confronti dell’amministratore, sostenendo che: “L’inadempimento contrattuale di una società di capitali non può, di per sé, implicare responsabilità risarcitoria degli amministratori nei confronti dell’altro contraente ex artt. 2395 o 2476, comma 6, c.c., nella formulazione “ratione temporis” vigente, atteso che tale responsabilità, di natura extracontrattuale, postula fatti illeciti direttamente imputabili a comportamento colposo o doloso degli amministratori medesimi; laddove ne ricorrano tutti gli estremi può, peraltro, configurarsi un concorso tra l’inadempimento della società e l’illecito dell’amministratore.”